Obsolescenza programmata

Nelle ultime ore è saltata alla ribalta l’obsolescenza programmata, una pratica nata negli Stati Uniti negli anni ’20 che portava le aziende a ridurre deliberatamente la durata di vita di un determinato prodotto al fine di aumentarne il tasso di sostituzione. In pratica nella produzione di beni soggetti a un rapido decadimento di funzionalità (come ad esempio uno smartphone) vengono adottati alcuni accorgimenti in fase di produzione come l’utilizzo di materiali di scarsa qualità che portano così i consumatori ad accelerare le esigenze di sostituzione dei beni interessati.

Sinceramente più che dell’obsolescenza programmata ci si dovrebbe preoccupare dell’obsolescenza percepita, visto che statisticamente l’88% dei telefoni cellulari che vengono  sostituiti dai consumatori sono ancora funzionanti e potrebbero continuare a svolgere il compiuto per il quale sono stati acquistati. 

Ma torniamo a parlare dell’obsolescenza programmataNel centro del mirino questa volta ci è finita la Apple, che con uno dei recenti aggiornamenti software di iOS ha deciso intenzionalmente di limitare, in determinate circostanze di funzionamento, la potenza del processore degli iPhone più vecchi. In pratica questa misura preventiva adottata dalla mela morsicata serve ad evitare che il device non richieda un quantitativo di energia che la batteria potrebbe non essere più in grado di fornire, causando di conseguenza uno spegnimento improvviso del dispositivo. Nonostante la compagnia di Cupertino abbia adottato questo accorgimenti per andare incontro alle esigenze dei consumatori, molte associazioni in difesa dei diritti dei consumatori hanno storto il naso, e dopo la denuncia l’associazione locale HOP (stop all’obsolescenza programmata) la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta contro Apple. L’azienda americana ha provato ad andare incontro ai consumatori permettendo a tutti i possessori di un iPhone (di qualunque generazione) di cambiare la batteria a soli 29 euro invece che a 89 euro, ma questo ha portato alla ribalta il tema della la famosa obsolescenza programmata.

Apple

Dal 1 luglio 2016 in Francia l’obsolescenza programmata è un vero e proprio reato, punibile fino a due anni di carcere, con 300 mila euro di multa e con un’ammenda pari al 5% dell’intero fatturato dell’azienda coinvolta. Da noi in Italia non c’è nessun tipo di legge sull’obsolescenza programmata, ma mi chiedo se servirebbe davvero a rendere la produzione tecnologici meno frenetica e più ragionata. Come detto, l’88% delle persone cambia il proprio smartphone non per problemi di funzionamento o per delle reali esigenze, ma solo per mettersi in tasca il modello più recente ed alla moda, magari senza essere in grado di sfruttare tutte le potenzialità dei nuovi prodotti.

A livello storico il passo più significativo verso l’obsolescenza programmata risale al 1924, anno in cui il “Cartello Phoebus” dette vita alla più grande lobby dei principali produttori occidentali di lampadine. In pratica i produttori aderenti al “Cartello Phoebus” si accordarono per standardizzare la produzione delle lampadine a incandescenza, limitando la vita di ogni lampadina a circa 1.000 ore di esercizio. Grazie a questa trovata (durante il funzionamento della lampadina il filamento diventa sempre più sottile fino a spezzarsi) le lampadine dopo un po’ di tempo si fulminano ed i consumatori sono così costretti a comprarne di nuove, generando un guadagno per i produttori.

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